Quando i bambini picchiano

Spesso, di fronte ad un bambino che picchia si tende a sottostimare la vera ragione di quell’agito.

È importante, in prima battuta, fare una distinzione importante tra aggressività funzionale nell’infanzia e la violenza, quest’ultima più tipica dell’età adulta.

È frequente che i comportamenti aggressivi compaiano intorno ai 12/18 mesi, incrementando verso i 2 e i 3 anni, per poi andare incontro ad una riduzione.

Ma perché un bambino picchia? Le ragioni principali sono 2:

Una ragione intrinseca è legata all’immaturità cerebrale del bambino, che gli impedisce, in determinate situazioni, di agire nella maniera più adeguata e favorendo, invece, una modalità di espressione emotiva più aggressiva. In altre parole: l’aggressività, in quel momento, è l’unica strada che il bambino riconosce come funzionale ad esprimere ciò che sta sentendo. Anche di fronte a bambini più grandi, che hanno già iniziato a parlare, è bene tenere a mente che non sempre risulta facile razionalizzare e ad esprimere a parole emozioni troppo forti per essere gestite in autonomia.

Una ragione più estrinseca, invece, è da riconoscere nell’ambiente in cui il bambino cresce. Se il bambino cresce in un contesto dove viene picchiato o vede picchiare, questi riconoscerà come normale tale comportamento.

È bene tenere a mente, inoltre, che dietro ad un comportamento aggressivo si cela spesso un’emozione difficile da gestire, che non sempre è quella della rabbia. A volte, anche di fronte ad emozioni positive come la gioia, ma difficili da contenere, è possibile assistere a delle crisi comportamentali importanti, durante le quali il bambino può picchiare.

A tal proposito lo psicologo Goleman ha coniato il termine sequestro amigdalino, proprio per riferirsi a quelle situazioni in cui il bambino, sequestrato dall’emozione (positiva o negativa che sia), diventa momentaneamente incapace di riflettere ed agire nella maniera più adeguata.

La prima cosa fare, dunque, in situazioni del genere è riconoscere il bambino come vittima di quell’emozione troppo grande da poter essere contenuta senza la mediazione di un adulto. La negoziazione non è utile: il bambino in questi momenti non è in grado di ascoltare e accogliere le richieste dell’adulto, che anzi potrebbero sortire un effetto contrario a quello desiderato.

Cosa fare, dunque?

  • Abbassarsi allo stesso livello fisico del bambino, così da ridurre il senso di minaccia
  • Mantenere il contatto visivo
  • Adottare un tono di voce calmo e controllare l’espressività del volto (i neuroni specchio sono sempre attivi e moduleranno – nella misura in cui è possibile – anche quella del tuo bambino)
  • Abbassare il numero degli stimoli che pensiamo possano aver innescato la crisi (es. se in casa, cambiare stanza; se al parco, allontanarsi in un ambiente più raccolto)
  • Verbalizzare l’emozione del bambino, diventare la sua voce
  • Pazientare. Tutte le emozioni hanno un ciclo: hanno un inizio, un durante e una fine
  • Laddove necessario (soprattutto in situazioni in cui c’è il rischio che il bambino si faccia o faccia male), contenerlo fisicamente

Alcuni bambini hanno bisogno di contatto fisico; altri, invece, hanno bisogno di spazio: in questi ultimi casi l’eccessiva vicinanza fisica o un tono di voce poco tranquillo possono generare ancora più confusione nel bambino, che tenderà a mandare via l’adulto.

È bene, però, ricordare che lasciare spazio al bambino non significa lasciarlo da solo, generando un senso di solitudine che potrebbe peggiorare la crisi: è utile rimanere disponibili emotivamente, senza invadere il suo spazio

L’adulto è sempre il modello di riferimento del bambino: per questo motivo è importante che il primo riesca a mantenere la calma, sebbene i momenti di crisi possano essere sfidanti e frustranti.